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13-11-2020

Sul vero dovere delle persone LGBTIQ cattoliche e non solo

Questi giorni gira in Italia una ennesima notizia della discriminazione LGBTIQ nella chiesa cattolica. Non è né prima, né ultima. Il parroco non ha permesso a una donna lesbica, innamorata della sua compagna, d’essere la madrina della cresima di una ragazzina. La notizia riferisce che il precedente parroco non aveva alcun problema con il desiderio di una lesbica di essere madrina, però il nuovo, informato dalla catechista del caso, ha posto il veto.

In questa storia la donna lesbica fortunatamente non nasconde la sua identità e vive in felice coerenza con il suo orientamento sessuale. È esattamente ciò che la chiesa cattolica proibisce alle persone come lei e il nuovo parroco si era solo limitato ad applicare questa proibizione. Non sappiamo se il precedente parroco conosceva chiaramente la vita e l’orientamento sessuale della donna o conoscendolo forse non ne ha dato importanza, come esigerebbe la legge ecclesiale. Non si deve aggiungere che è una legge disumana, violenta e ingiusta, nonché contraria alla conoscenza scientifica circa l’orientamento sessuale.

Come reagiamo noi davanti la discriminazione nella chiesa cattolica? Quali strategie intraprendiamo in questi casi? Generalmente le persone LGBTIQ deplorano il parroco che le esclude e lodano quello che almeno ha chiuso l’occhio alla loro identità sessuale. Alla luce di questa tattica sembra che sono i singoli preti o vescovi, i singoli catechisti o politici cattolici, insomma, i singoli battezzati, cioè i membri della chiesa, che decidono di essere omofobi o no, come se questa fosse una possibile libera scelta permessali dalla loro religione. Conseguentemente, la strategia di lotta per il rispetto di diritti umani legati all’orientamento sessuale e al genere nella chiesa è la seguente: denunciare i singoli cattolici, specialmente nel clero o nella politica, come omofobi e rallegrarsi per i singoli casi di coloro che sono gay-friendly o almeno indifferenti davanti alle persone non eterosessuali. La speranza di superare l’omofobia ecclesiale è praticamente ridotta allo sforzo di trovare più persone che dentro la chiesa non siano omofobe, presentandole come presunti “piccoli passi cattolici” per superare il secolare odio contro i gay.

Purtroppo non ho dubbi che è una strategia che non porta in alcun modo al superamento dell’omofobia istituzionale della chiesa cattolica. In essa sorgono continuamente le discriminazioni, le persecuzioni e le ingiustizie, provocando l’esclusione, le sofferenze o la morte delle vittime, spingendo una moltitudine di persone a nascondersi tutta la vita davanti all’oppressore della loro identità. La ragione di queste singole storie di persecuzioni sta nell’omofobia strutturale della chiesa. Pertanto, serve poco la strategia che cerca come “aggirare” l’omofobia ecclesiale in una situazione concreta grazie a qualche persona empatica (un prete o un vescovo), che si possa trovare al suo interno. In ultima analisi, ciò che possiamo ottenere in questo modo è solo un “arrangiamento” in un caso concreto di discriminazione, senza però cambiare per nulla la discriminazione istituzionale, che ne sta dietro. Insomma, è il metodo di arrangiarsi per sopravvivere dentro il sistema omofobo. Pertanto, per il rispetto di dirtti umani di tutti nella chiesa serve poco la strategia di denunciare i singoli comportamenti o personaggi omofobi dentro la chiesa, magari contrapponendoli a quelli che ci sembrano più aperti o addirittura “liberi” di discriminazione, permettendoci di agiustare una singola situazione. Tutto ciò non porta a superamento dell’omofobia ecclesiale.

Per illustrare la mia analisi, pensiamo ai poliziotti che sono al servizio dell’ordine pubblico e per il bene comune di tutti verificano il complimento delle leggi. Si presume che le leggi sono buone. Il poliziotto, il guardiano della legge, può anche punire chi non la osserva. Così durante la pandemia per il nostro bene dobbiamo coprire il naso e la bocca con una mascherina e ogni poliziotto ha diritto e dovere di punire con una sanzione chi non osserva questa importante legge sanitaria. Può succedere che un poliziotto che ha passato vicino a un delinquente non si era reso conto dell’infrazione e non lo ha punito, ciò che non significa che la legge ha cambiato a favore del delinquente. Anche se tutti i poliziotti del nostro quartiere smettessero di perseguire i colpevoli, ciò non significherà che la legge fosse superata. Provocherebbe forse l’allegria dei delinquenti, ma un poliziotto più “tollerante” dell’altro non cambia la legge.

Qualcosa di simile passa purtroppo anche quando la legge è ingiusta. Trovare un poliziotto comprensibile ed empatico che non ti fa pagare l’inosservanza di una legge ingiusta non cambia la strutturale situazione d’ingiustizia. Devi stare sempre attento per non trovarsi davanti a un altro poliziotto che non avrà la stessa comprensione, perché sia tu che lui vivete in un sistema di legge ingiusta.

Ora, i preti quando applicano le leggi ecclesiali si potrebbero comparare a quei poliziotti del quartiere che vigilano sull’osservanza delle leggi civili. Il fatto che uno è più perspicace a trovare delinquenti e l’altro meno, non cambierebbe in assoluto il sistema legale vigente, giusto o ingiusto che sia. Purtroppo i preti, come tutti i cattolici, sono obbligati ad applicare molte leggi evidentemente ingiuste e non solo contro le persone LGBTIQ, ma anche contro le donne o contro le persone divorziate. Trovare un prete o un vescovo che in una situazione concreta “aggira” o “interpreta più benevolmente” queste leggi non cambia nulla nella situazione d’ingiustizia imposta a tutti. Potrebbe succedere, che aggirare la legge ingiusta nella vita propria o del proprio gruppo solo grazie al fatto di trovare un “guardiano della legge” che non la esige, senza pensare che ciò non cambia la situazione dell’ingiustizia del sistema legale che colpisce tutti, potrebbe essere addirittura una sorte d’egoismo. Nella maggioranza dei casi probabilmente non lo è, ma di sicuro non è la lotta per i diritti di tutti e per il superamento dell’ingiustizia imposta dalla legge. Ripeto: è la lotta per “arrangiarsi” o “adattarsi” nel sistema omofobo o di “aggirare” qualche suo dettame ingiusto, ma non è la lotta per vincere l’ingiustizia.

Nella chiesa cattolica non sono le singole persone che hanno deciso liberamente di essere omofobe o misogine, così che una volta eliminate o convertite queste persone, la chiesa non sarebbe più omofoba o misogina. Non sono i singoli preti o vescovi che decidono di discriminare o no certe categorie di persone. Sono le leggi e le dottrine della chiesa a essere discriminatorie e a oobligare tutti a essere ingiusti. Trovare alcuni o, in certe zone, anche molti “poliziotti delle anime” che non le applicano puntualmente, non significa in assoluto superare la strutturale ingiustizia dell’omofobia cattolica. Sarebbe semmai la conquista di diventare un “eccezione” dalla regola persecutoria, ma neanche molte eccezioni cambiano il sistema d’ingiustizia. Un eccezione evade dall’ngiustizia, ma non la coregge. Alla luce della dottrina e della legge della chiesa le persone LGBTIQ sono come i “delinquenti”, i “fuori legge”, che vanno discriminati o annullati (come la donna lesbica è stata annullata nella sua domanda di essere madrina). Se tali persone sono riuscite ad aggirare questa legge ingiusta a loro favore, questo non li converte di fatto in eroi. Sono solo un eccezione, che conferma la generale persecuzione vigente. Lottare contra l’ingiustizia omofoba è qualcosa ben diverso dallo sforzo di cercare un “poliziotto” benevolo nel proprio intorno per aggirare la legge ingiusta per la propria pace. Sono convinto che una tale tattica, purtroppo privilegiata tra i cattolici LGBTIQ, è del tutto controproducente per la lotto per il rispetto dei diritti umani di tutti nella nostra religione. È una tattica che rallenta decisamente il superamento dell’omofobia, perché crea la situazione di falsa pace, una stabilità vegettiva, una sorta di soddisfazione dentro il sistema persecutorio, ma anche l’“assimilazione” di quel sistema opressore da parte delle vittime, che inizia a sembrarli meno nocivo di ciò che è in realtà e tutto sommato “vivibile” per loro. Così si elimina forse un problema personale, ma a costo di “vegetare” e “assimilare” il sistema che – con il suo peccato strutturale – colpisce tutti gli altri. È pradossalmente come “accogliere” o “albergare” il sistema opressore da parte delle le sue vittime.

Pertanto, la lotta contro l’omofobia della chiesa non può ridursi a condanne di singoli funzionari o membri ritenuti omofobi, perché questi solo applicano la legge omofoba (ingiusta e inumana, pero obbligatoria). Loro sono i “fedeli e leali servitori” della chiesa. Per lottare contro l’omofobia dobbiamo avere coraggio di esigere dalla chiesa il cambiamento delle leggi e dottrine ingiuste. Nella società democratica lo facciamo esercitando il nostro diritto di voto. Ma nella chiesa non è così: le leggi e le dottrine ingiuste e discriminatorie non le cambiamo noi con il nostro voto, ma le può cambiare esclusivamente il papa o il concilio. Noi possiamo solo intraprendere il movimento di aperta, pubblica e inequivocabilmente chiara disobbedienza contro l’ingiustizia. È l’unica via per esercitare una pressione efficace sulla chiesa omofoba. Cercare di “sopravvivere” nel sistema omofobo ecclesiale significa in realtà, coscientemente o meno, andare a patti con la sua omofobia. Una conversione dell’istituzione ecclesiale, la può ottenere solo la strategia di rivoluzione evangelica: la disobbedienza morale all’oppressore. È una strategia che rifiuta la ricerca di arrangiamenti personali dentro un sistema di persecuzione omofoba. È la strategia che si basa su una piena presa di coscienza da parte del perseguitato di essere perseguitato, oppresso. La maggior parte delle vittime, cattolici/che LGBTIQ, non possiede questa piena coscienza, ciò che immobilizza la vera lotta per la giustizia. Sono le vittime che “alloggiano” dentro di sé l’oppressore e provano di sopravvivere con quel inquilino violento, a scapito d’una disobbedienza morale davanti a un male sistematico gravissimo, che è l’obbligo di coscienza di ogni credente. A la lotta contro l’omofobia importano poco le denunce dei casi concreti di coloro che fedelmente osservano la legge omofoba della chiesa e che noi giudichiamo “cattivi”. Lo che si deve denunciare è il sistema ingiusto (dottrinale e legale della chiesa), che si impone alle persone e le rende cattive: se il sistema cambia, cambieranno automaticamente i cattolici, perché non avranno la base che giustifica il loro male.

Nella chiesa cattolica, finché ne facciamo parte, nessuno è libero della responsabilità per la sua strutturale omofobia e misoginia, iscritte, trasmesse e imposte nelle sue leggi e dottrine. Non vale la pena perdere tempo a contare i casi di singoli casi di chierici gay-friendly o quelli fedeli alla dottrina omofoba. Ciò che vale la pena e ciò che si deve fare, perché è il nostro dovere morale, è la rivoluzione della disobbedienza pubblica contro le leggi e dottrine ingiuste imposte dalla chiesa, contro il sistema della sua oppressione omofoba. Non si costruiscono i ponti appoggiandosi su un male strutturale. Questa è la nostra responsabilità storica, da cui scaturisce il dovere urgente di ripensare le tattiche e le strategie nocive o semplicemente inutili.